(massima n. 1)
Le norme che disciplinano la sequenza procedimentale risultante dal combinato disposto degli artt. 180 - 183 c.p.c. hanno natura essenzialmente inderogabile, essendo poste a tutela del diritto delle parti, sicché, all'esito della prima udienza di comparizione, il giudice deve fissare, d'ufficio, l'udienza di trattazione, con assegnazione di un termine al convenuto per la proposizione delle eccezioni in senso stretto, sempre che non vi sia accordo in senso contrario delle parti, e sempre che il convenuto non abbia espressamente rinunziato alla concessione del detto termine. Posto, peraltro, che la scansione procedimentale "de qua" non è riconducibile a ragioni di ordine pubblico, ma è piuttosto volta ad assicurare alle parti l'esercizio del diritto di difesa in un contesto di "parità delle armi", l'inderogabilità del regime delle preclusioni che ne risulta va applicato esclusivamente con riferimento a quelle già verificatesi - per le quali non è neanche logicamente possibile configurare deroghe o sanatorie, - mentre, per quelle non ancora verificatesi, ben può l'accordo delle parti - o la rinuncia a facoltà processuale da parte di una di esse consentire la disposizione dello schema delineato dal legislatore, predicativo di una inderogabilità soltanto tendenziale della sequenza delle udienze di cui agli artt. 180 - 183 c.p.c.. A tanto consegue che, dopo l'udienza di prima comparizione, deve ritenersi legittima, da parte del giudice istruttore, la immediata fissazione dell'udienza di precisazione delle conclusioni (omessa la fissazione e celebrazione di quella intermedia di trattazione), ove manchi (come nella specie) qualsivoglia richiesta di assegnazione del termine di cui all'art. 180 c.p.c., ed in assenza, altresì, di richieste istruttorie nelle successive udienze di rinvio del procedimento, dovute esclusivamente alla pendenza di trattative di bonario componimento.