(massima n. 1)
Spetta al giudice italiano la giurisdizione con riguardo all'istanza di fallimento presentata nei confronti di una società di capitali, operante nel settore dei finanziamenti e degli impegni di firma, già costituita in Italia, che dopo aver deliberato il trasferimento all'estero (nella specie: in Spagna) abbia visto conseguentemente revocare l'autorizzazione dell'Ufficio Italiano Cambi all'esercizio della sua attività e sia stata cancellata dal Registro delle imprese e, pertanto, si sia estinto come soggetto dell'ordinamento nazionale sicché non possa identificarsi con la società avente identica denominazione costituita in Spagna, in conformità della "lex loci". Infatti, tale tipo di istanza è devoluto al giudice italiano, in applicazione dell'art. 25 della legge n. 218 del 1995 che, dopo aver stabilito (con il primo comma) l'assoggettamento della società alla legge dello Stato in cui si è perfezionato il procedimento di costituzione (o comunque alla legge italiana se la sede o l'oggetto principale si trovino in Italia), con il terzo comma riconosce efficacia al trasferimento all'estero della sede solo se conforme alle norme dei due Stati interessati e, dunque, alla condizione che i rispettivi ordinamenti concordino nel ravvisare il mutamento della sede medesima come mera modificazione, senza interferenze sull'identità e la persistenza in vita dell'ente. Ma tale condizione difetta quando (come nella specie) il diritto nazionale contempli, con il trasferimento della sede, l'estinzione della società nata in Italia, di modo che configuri la società con sede all'estero come un nuovo ente, la cui esistenza ed il cui funzionamento siano regolati dalla legge straniera (Nell'enunciare tale principio la Corte ha altresì precisato che, nella specie, non vengono in rilievo le innovazioni introdotte, in materia di procedure d'insolvenza, dal regolamento (CE) n. 1346/2000 del 29 maggio 2000 del Consiglio, che non riguardano, fra l'altro, le imprese esercenti l'attività creditizia).