(massima n. 1)
Nel caso di occupazione illegittima di un immobile il danno subito dal proprietario non può ritenersi sussistente "in re ipsa", atteso che tale concetto giunge ad identificare il danno con l'evento dannoso ed a configurare un vero e proprio danno punitivo, ponendosi così in contrasto sia con l'insegnamento delle Sezioni Unite della S.C. (sent. n. 26972 del 2008) secondo il quale quel che rileva ai fini risarcitori è il danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato, sia con l'ulteriore e più recente intervento nomofilattico (sent. n. 16601 del 2017) che ha riconosciuto la compatibilità del danno punitivo con l'ordinamento solo nel caso di espressa sua previsione normativa, in applicazione dell'art. 23 Cost.; ne consegue che il danno da occupazione "sine titulo", in quanto particolarmente evidente, può essere agevolmente dimostrato sulla base di presunzioni semplici, ma un alleggerimento dell'onere probatorio di tale natura non può includere anche l'esonero dall'allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l'intenzione concreta del proprietario di mettere l'immobile a frutto. (In applicazione del principio, la S.C., in fattispecie relativa a richiesta di risarcimento danni per trasloco di mobilio e trasferimento degli abitanti in altro alloggio, ha confermato la sentenza secondo cui difettava la prova del danno - qualificato come emergente - avendo i ricorrenti invocato un obbligo di liquidazione "in re ipsa", attraverso il criterio equitativo del valore locativo dell'immobile, anziché provare nell'"an" e nel "quantum" le conseguenze negative derivanti, di regola, dallo spossessamento). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ANCONA, 01/06/2017).