(massima n. 1)
La legge 23 giugno 1865 n. 2359, in tema di espropriazione per pubblica utilità, ha valore di legge generale applicabile in tutti i casi nei quali le leggi speciali non l'abbiano modificata anche implicitamente. Da ciò consegue che, se è vero che la legge 22 ottobre 1971 n. 865, non fissa dei termini per l'inizio e la ultimazione del procedimento espropriativo e dei lavori, è però anche vero che la fissazione di tali termini costituisce - secondo il costante e pacifico orientamento giurisprudenziale - regola indefettibile per ogni procedura di espropriazione, rimasta ferma anche dopo l'entrata in vigore della detta legge, la quale ha modificato soltanto in parte le norme precedenti relative alle espropriazioni in essa contemplate ma, se ha taciuto in ordine alla fissazione di quei termini, non ha abrogato neanche implicitamente (non essendovi motivo per sostenere il contrario) l'art. 13 della legge n. 2359 del 1865, che prevedeva la necessità di fissarli. (Non fondatezza - in riferimento all'art. 42, terzo comma, Cost. - della questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, primo comma, della legge n. 865 del 1971, in quanto non prevede che l'autorità alla quale spetta dichiarare la pubblica utilità, la indifferibilità e la urgenza delle opere, in vista delle quali occorra procedere ad espropriazione, fissi i termini per l'inizio e la ultimazione sia delle espropriazioni sia dei lavori, sicché l'"amministrazione" verrebbe ad essere arbitra di protrarre nel tempo le une e gli altri, con violazione dei principi della riserva di legge in materia di espropriazione per pubblica utilità e della congruità dell'indennizzo, il cui contenuto economico può venire ridotto, a causa del ritardo del provvedimento di esproprio rispetto al momento in cui l'indennità provvisoria accettata, ovvero quella di cui all'art. 15 della legge n. 865, sono state determinate).