(massima n. 1)
In tema di divorzio, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, sesto comma, della legge 1º dicembre 1970, n. 898, nella parte in cui consente di assoggettare all'obbligo di corrispondere l'assegno anche il coniuge che abbia chiesto ed ottenuto lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio ex art. 3 n. 2 lett. a ) della legge 1º dicembre 1970, n. 898 ; neppure in tale ipotesi, infatti, cessa la funzione assistenziale di detto assegno, non rilevando le ragioni della decisione ai fini dell'accertamento della sussistenza del relativo diritto, ma solo ai fini della determinazione del relativo ammontare, ed essendo riservata alla valutazione discrezionale del giudice di merito la possibilità di considerare decisivo e prevalente, tra tutti i criteri previsti per la quantificazione dell'assegno divorzile, quello della ragione del divorzio e della responsabilità del coniuge convenuto e di pervenire in tal modo all'azzeramento dell'assegno. I profili di responsabilità civile derivanti dalle violazioni del diritto all'unità familiare non sono d'altronde incompatibili con l'obbligo di contribuzione assistenziale, che fonda la sua ragione proprio nel rapporto coniugale che è alla base della famiglia.