(massima n. 1)
Il principio secondo il quale gli accordi dei coniugi diretti a fissare, in sede di separazione, il regime giuridico del futuro ed eventuale divorzio, sono nulli per illiceità della causa, anche nella parte in cui concernono l'assegno divorzile — che per la sua natura assistenziale è indisponibile — in quanto diretti, implicitamente o esplicitamente, a circoscrivere la libertà di difendersi nel giudizio di divorzio, trova fondamento nella esigenza di tutela del coniuge economicamente più debole, la cui domanda di assegnazione dell'assegno divorzile potrebbe essere da detti accordi paralizzata o ridimensionata. Il richiamato principio, pertanto, non trova applicazione ove invocato, al fine di ottenere l'accertamento negativo del diritto dell'altro coniuge, da quello che dall'accordo potrebbe ricevere un aggravio dell'onere cui sia tenuto. Né può essere fatta valere, in sede di divorzio, la nullità di un accordo transattivo, ancorché parzialmente trasfuso nella separazione consensuale, già raggiunto tra i coniugi al solo scopo di porre fine ad una controversia di natura patrimoniale, tra gli stessi insorta, senza alcun riferimento, esplicito od implicito, al futuro assetto dei rapporti economici conseguenti alla eventuale pronuncia di divorzio. Siffatto accordo, peraltro, acquisterebbe rilievo su detti rapporti, sotto il profilo della necessaria considerazione, da parte del giudice, della complessiva situazione reddituale delle parti, risultante, tra l'altro, dal credito di uno dei coniugi cui corrisponderebbe il debito dell'altro.