(massima n. 1)
La mancanza nella disciplina di riferimento di una previsione puntuale e vincolante che regoli i tempi dello smaltimento dei rifiuti sanitari non vale, di per sé, come, peraltro, esattamente riconosciuto dal T.A.R., ad impedire all'istituto committente di stabilire, nella lex specialis di gara o, meglio, nella connessa prefigurazione della disciplina del rapporto contrattuale, una regolamentazione specifica di un aspetto del servizio, rimasto sprovvisto di dettami nella normativa primaria. Ne consegue che il giudizio di legalità della prescrizione in esame va compiuto alla stregua degli ordinari criteri di verifica del corretto esercizio della discrezionalità (e, in particolare, dei canoni della ragionevolezza e della proporzionalità), senza, tuttavia, trascurare le indicazioni ricavabili dall'analisi della disciplina positiva di riferimento quali principi di indirizzo dell'attività di scelta riservata alle amministrazioni appaltanti nei settore in questione. Così definito il campo di indagine e chiarito che la mancanza di un parametro positivo del tempo occorrente per lo smaltimento non impedisce l'uso del potere discrezionale di regolare tale aspetto dell'appalto, risulta agevole rilevare che la natura dell'oggetto dell'obbligo sancito dalla clausola controversa - rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo (CER 180103) - e le connesse esigenze di tutela dell'ambiente e della salute pubblica (espressamente valorizzate dall'art. 1 D.M. n. 219/2000, con specifico riferimento alla gestione dei rifiuti sanitari) giustificano senz'altro una misura precauzionale che, in aggiunta alla disciplina primaria (di per sé, come detto, non esaustiva delle cautele sanzionabili dalle amministrazioni committenti), riduca ulteriormente i rischi di contaminazione, mediante la limitazione spaziale e temporale della movimentazione dei rifiuti pericolosi.