(massima n. 1)
In caso di violazione da parte della moglie divorziata del divieto di uso del cognome del marito, quest'ultimo, può, ai sensi dell'art. 7 c.c., chiedere la cessazione del fatto lesivo ed altresì adire per il risarcimento del danno; tuttavia, mentre per l'inibitoria è sufficiente che l'attore dimostri, oltre all'uso illegittimo del proprio nome, la possibilità che da ciò gli derivi un pregiudizio (che può essere, quindi, meramente potenziale, ovvero di ordine solo morale), ai fini dell'azione risarcitoria, devono sussistere gli estremi soggettivi ed oggettivi dell'illecito aquiliano ai sensi dell'art. 2043 c.c.: non è quindi soltanto necessaria l'esistenza di un pregiudizio effettivo, ma quest'ultimo, se non ha carattere patrimoniale, è risarcibile, ex art. 2059 c.c., soltanto ove nella condotta dell'indebita utilizzatrice sia configurabile un illecito penalmente sanzionato.