(massima n. 1)
A fronte dell'esercizio di un potere discrezionale del pubblico ufficiale, ricorrono gli estremi della corruzione propria (art. 319 c.p.) nelle ipotesi in cui il soggetto abbia accettato, dietro compenso, di non esercitare la discrezionalità che gli è stata attribuita dall'ordinamento o di usarla in modo distorto, alterandone consapevolmente i canoni di esercizio e ponendo pertanto in essere una attività contraria ai suoi doveri di ufficio. Nè può assumere rilievo scriminante ai fini della qualificazione dell'esercizio del potere discrezionale come «atto contrario ai doveri di ufficio» la circostanza che gli atti amministrativi posti in essere dal pubblico ufficiale abbiano superato il vaglio di legittimità del giudice amministrativo, trattandosi di risultato contingente e particolare, connesso alle concrete modalità di impostazione e di svolgimento del giudizio amministrativo (in applicazione di tale principio, la Corte ha valutato come «atti contrari ai doveri di ufficio» le modifiche apportate, sulla base di intese corruttive, dai soggetti investiti del potere decisionale alla delibera consiliare relativa alla privatizzazione del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani, in modo da modellare le determinazioni amministrative alle esigenze di determinate imprese, ancorché la legittimità di tali modifiche risultasse da una pronuncia del TAR).