(massima n. 1)
In tema di provvedimenti del giudice in ordine alla prova, il diritto dell'imputato all'ammissione delle prove a discarico, di cui all'art. 495, secondo comma, c.p.p., va coordinato con il potere attribuito al giudice del quarto comma del medesimo articolo di revocare l'ammissione di prove che risultino «superflue». Tale potere, esercitato dal giudice sulla base delle risultanze della istruttoria dibattimentale, è ben più ampio di quello che al medesimo è riconosciuto all'inizio del dibattimento, fase processuale caratterizzata dalla normale «verginità conoscitiva» dell'organo giudicante rispetto alla regiudicanda e pertanto regolata dal più restrittivo canone di cui all'art. 190, primo comma, c.p.p., richiamato dall'art. 495, primo comma, dello stesso codice, in base al quale, stante il diritto delle parti alla prova, il giudice può non ammettere le sole prove vietate dalla legge o quelle che «manifestamente» risultino superflue o irrilevanti. Ne consegue che la censura di mancata ammissione di una prova decisiva si risolve, una volta che il giudice abbia indicato in sentenza le ragioni della revoca della prova già ammessa, in una verifica della logicità e congruenza della relativa motivazione raffrontata al materiale probatorio raccolto e valutato.