(massima n. 1)
La specificità della disposizione di cui all'art. 606 lett. e) c.p.p., dettata in tema di ricorso per cassazione al fine di definire l'ammissibilità per ragioni connesse alla motivazione, esclude che la norma possa essere dilatata per effetto di regole processuali concernenti la motivazione stessa, utilizzando invece la diversa ipotesi di cui alla lett. c) dell'art. 606. L'espediente non è consentito, sia per i ristretti limiti nei quali la disposizione ora citata prevede la deducibilità per cassazione delle violazioni di norme processuali, (considerate solo se stabilite «a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza»), sia perché la puntuale indicazione contenuta nella lettera e), riferita al «testo del provvedimento impugnato», collega in via esclusiva e specifica al limite predetto qualsiasi vizio motivazionale. Né il mancato riferimento a dati probatori acquisiti può costituire motivo di ricorso sotto il profilo della omessa motivazione. Se è vero che tale vizio è ravvisabile non solo quando manca completamente la parte motiva della sentenza, ma anche qualora non sia stato considerato un argomento fondamentale per la decisione espressamente sottoposto all'analisi del giudice, il concetto di mancanza di motivazione non può essere tanto esteso da includere ogni omissione concernente l'analisi di determinati elementi probatori. Invero, un elemento probatorio estrapolato dal contesto in cui esso si inserisce, non posto a raffronto con il complesso probatorio, può acquisire un significato molto superiore a quello che gli è attribuibile in una valutazione completa del quadro delle prove acquisite. Ritenere il vizio di motivazione per la omessa menzione di un tale elemento nella sentenza comporterebbe il rischio di annullamento di decisioni logiche, e ben correlate alla sostanza degli elementi istruttori disponibili. Per ovviare ad un tale rischio, la Corte di legittimità dovrebbe valutare la portata dell'elemento additato dalla difesa nel contesto probatorio acquisito, con una sovrapposizione argomentativa che sconfinerebbe nei compiti riservati al giudice di merito.