(massima n. 2)
Per stabilire se un atto sia contrario o meno ai doveri di ufficio e se conseguentemente debba configurarsi l'ipotesi criminosa dell'art. 319 c.p. (corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio) piuttosto che quella dell'art. 318 c.p. (corruzione per un atto di ufficio), occorre avere riguardo non soltanto all'atto in sé per verificarne la legittimità o l'illegittimità, ma anche alla sua conformità a tutti i doveri di ufficio o di servizio che possono venire in considerazione, con il risultato che un atto può essere in sé stesso non illegittimo e ciò nondimeno essere contrario ai doveri di ufficio. Del resto, che in materia di corruzione la legittimità dell'atto non sia sufficiente ad escludere la più grave figura criminosa dell'art. 319 c.p. quando sia accompagnato dalla inosservanza di un dovere d'ufficio, si evince chiaramente dalla stessa articolazione della suddetta norma che contempla, tra le ipotesi di corruzione propria, anche quella che si concreta nella retribuzione ricevuta per ritardare l'emissione di un atto dovuto, e cioè nella violazione di un dovere (quale quello di provvedere senza dolosi ritardi) che fa presumere e presuppone la legittimità dell'atto tardivamente emesso.