(massima n. 1)
Nel nuovo ordinamento processuale, l'indagine di legittimità sulla struttura razionale della motivazione e, cioè, sul modo di costruire il discorso giustificativo della decisione, deve essere orientata entro un orizzonte circoscritto. Il sindacato demandato alla Corte di cassazione, infatti, per espressa disposizione normativa, deve essere limitato soltanto a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza alcuna possibilità di spingersi a verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice del merito si è servito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Il vizio logico della motivazione, nelle sue varie concrete espressioni — contraddittorietà, illogicità, omessa considerazione di circostanze decisive e, pur anche, travisamento di fatto — deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali. Non vi è più spazio, cioè, per quell'operazione interpretativa, che, sotto l'egida delle precedenti norme regolatrici del processo penale, aveva reso possibile di scivolare dalla contraddittorietà, intesa come contrasto analitico tra varie proposizioni alla illogicità, concepita come contrasto tra le argomentazioni del contesto motivazionale e la realtà processuale, o, addirittura, la comune esperienza, od il comune modo di «sentire» un fatto. I due unici vizi di legittimità inerenti alla motivazione dei provvedimenti di merito, sono ora la mancanza — che vuol dire difetto assoluto — di argomentazioni su uno qualsiasi dei momenti applicativi della decisione e la illiceità evidente, risultante dallo stesso testo della motivazione. A tal fine è però indispensabile che il giudice di merito indichi con puntualità, chiarezza e completezza tutti gli elementi di fatto e di diritto sui quali fonda la propria decisione, per consentire all'interessato di formulare le più appropriate censure ed alla Corte di cassazione di esercitare la funzione di controllo, che le è propria.