(massima n. 1)
Nei reati di associazione e, segnatamente, nel reato di associazione per delinquere di tipo mafioso non è configurabile responsabilità a titolo di cosiddetto «concorso esterno» giacché o il presunto concorrente esterno, nel porre in essere la condotta oggettivamente vantaggiosa per il sodalizio criminoso, è animato anche dal dolo specifico proprio di chi voglia consapevolmente contribuire a realizzare i fini per i quali il detto sodalizio è stato costituito ed opera, e allora egli non potrà in alcun modo distinguersi dal partecipante a pieno titolo; ovvero, mancando in lui quel dolo specifico, la condotta favoreggiatrice o agevolatrice da lui posta in essere dovrà essere necessariamente riguardata come strutturalmente e concettualmente distinta e separata dal reato associativo. (In motivazione la Corte, a sostegno del principio dianzi enunciato, ha anche rilevato come la concettuale impossibilità di configurazione del concorso esterno nell'associazione trovi conferma, oltre che nella esistenza del reato di «assistenza agli associati» previsto dall'art. 418 c.p., anche nella previsione, in diverse disposizioni normative — quali gli artt. 7 e 8 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modificazione dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, l'art. 12 quinquies, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306 convertito con modificazione dalla L. 7 agosto 1992, n. 356, il comma 3 bis dell'art. 51 c.p.p. — della eventualità che dei delitti siano commessi «al fine di agevolare» l'attività delle associazioni mafiose o assimilate; previsione, questa, che risulterebbe inutile ove fosse configurabile, ai sensi dell'art. 110 c.p., un concorso esterno in dette associazioni, finalizzato appunto ad agevolare la loro attività o quella di associati, senza che per questo il concorrente entrasse a far parte delle associazioni medesime).