(massima n. 1)
La circostanza attenuante comune prevista dall'art. 62, n. 6, seconda ipotesi, c.p. (elisione o attenuazione delle conseguenze del reato), è di natura soggettiva e trova fondamento nella minore capacità a delinquere del colpevole, il quale, per ravvedimento, dopo la consumazione del reato, ma prima del giudizio, si adopera per elidere le conseguenze dannose o pericolose del reato. L'attenuante è ravvisabile solo se l'azione diretta ad attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato è spontanea ed efficace, cioè determinata da motivi interni all'agente e non influenzata in alcun modo da fattori esterni che operino come pressione sulla spinta psicologica. Per conseguenze dannose e pericolose del reato debbono intendersi esclusivamente quelle concernenti il danno penale causato dal reato stesso e cioè solo quello strettamente inerente alla lesione o al pericolo di lesione del bene giuridico specificamente tutelato dalla norma violata e che quindi non si concretino in un danno patrimoniale o non patrimoniale economicamente risarcibile. L'attenuante trova giustificazione in una condotta che testimoni minor capacità a delinquere in relazione a reati in cui il danno penale non sia per sua natura irreversibile e non eliminabile neppure in parte dall'opera del colpevole. Essa, pertanto, non è concedibile in relazione ad un comportamento processuale di semplice collaborazione con gli organi inquirenti. (Fattispecie relativa e ritenuta inapplicabilità dell'attenuante in quanto la collaborazione dell'imputato — indicazione dei fornitori — è intervenuta dopo l'esaurimento del reato con l'espletamento dell'attività di spaccio degli stupefacenti).