(massima n. 2)
Il principio secondo cui il diritto dell'arbitro al compenso sorge per il fatto di avere effettivamente espletato l'incarico e non viene meno allorquando il lodo sia stato caducato dal giudice perché affetto da uno dei vizi di cui all'art. 829 c.p.c., trova un limite nell'avvenuta effettiva pronuncia di un lodo avente i requisiti minimi previsti dall'art. 823 c.p.c.: esso resta inapplicabile, pertanto, in tutte le ipotesi in cui un provvedimento di tal natura sia mancato del tutto, come avviene ove emesso a seguito di arbitrato irrituale o di arbitraggio o di perizia contrattuale, ovvero in ogni altra fattispecie in cui le parti abbiano predisposto speciali tipologie di conciliazione o di procedimenti preliminari finalizzati alla ricerca di una soluzione extragiudiziale della controversia, dato che, in ciascuno di questi casi, la decisione, di natura negoziale, che li conclude è sfornita dell'elemento che caratterizza l'arbitrato rituale, ossia l'attitudine a divenire "sentenza" a seguito del deposito del lodo, ed il compenso dovuto agli arbitri irrituali non si connota come spesa, ma come debito "ex mandato", per l'adempimento del quale è attivabile un ordinario giudizio di cognizione.