(massima n. 1)
Il giudicato sulla giurisdizione nei confronti dello straniero o dello Stato estero non può spiegare effetto in un successivo processo inerente al medesimo rapporto, ma coinvolgente effetti diversi rispetto a quelli fatti valere nel primo processo. Non è, infatti, possibile, sulla base del precedente giudicato sul merito, affermare o negare in un successivo processo «a priori» la giurisdizione nei confronti dello straniero, la quale risponde a regole mutevoli nel tempo, atteso che, dovendo sussistere il criterio di collegamento al momento del processo, esso può autonomamente atteggiarsi in modo diverso con riferimento a due distinti giudizi, come risulta evidente per i criteri della residenza e del domicilio della parte o del rappresentante ex art. 77 c.p.c., ma anche per quello dell'accettazione della giurisdizione, che è soggettivamente mutevole. Ciò vale a maggior ragione qualora si discuta di giurisdizione nei confronti degli Stati esteri, considerato che, a norma dell'art. 11 della legge 31 maggio 1995, n. 218, il difetto di giurisdizione è rilevabile d'ufficio se la giurisdizione italiana è esclusa per effetto di norma internazionale.