(massima n. 1)
In materia di impugnazione delle delibere dell'assemblea di una società di capitali, la distinzione tra vizi che ne cagionano la nullità, ovvero l'annullabilità, e l'errore nel quale sia incorso il giudice del merito nella qualificazione del vizio denunciato, possono essere fatti valere in sede di legittimità, purché il ricorrente alleghi e dimostri l'esistenza di un interesse concreto alla sua correzione, in quanto, anche se a detti vizi corrispondono azioni e decisioni di natura differente, dalle quali possono derivare effetti almeno in parte dissimili, esse sono accomunate dalla circostanza che sia la pronuncia di nullità, sia quella di annullamento rispondono all'interesse dell'attore di caducare la delibera impugnata. Pertanto, qualora il socio abbia esercitato entrambe le azioni e la società convenuta non abbia eccepito la decadenza dall'azione ex art. 2377, c.c., l'errore del giudice del merito nell'identificare la natura del vizio che inficia la delibera e la conseguente imprecisa formula adottata nella sentenza sono irrilevanti, nel caso in cui il ricorrente non abbia allegato l'interesse che dovrebbe fondare il ricorso, in quanto l'impugnazione della pronuncia non può essere giustificata dallo scopo meramente teorico di conseguire una pronuncia formulata in termini giuridicamente corretti.