(massima n. 1)
In materia di procedimento civile, il controllo di legittimità sulle pronunzie dei giudici di merito demandato alla Corte Suprema di Cassazione non è configurato come terzo grado di giudizio, nel quale possano essere ulteriormente valutate le istanze e le argomentazioni sviluppate dalle parti ovvero le emergenze istruttorie acquisite nella fase di merito, ma è preordinato all'annullamento delle pronunzie viziate da violazione di norme sulla giurisdizione o sulla competenza o processuali o sostanziali, ovvero viziate da omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione, e che le parti procedano a denunziare in modo espresso e specifico, con puntuale riferimento ad una o più delle ipotesi previste dall'art. 360, primo comma, c.p.c., nelle forme e con i contenuti prescritti dall'art. 366, primo comma, n. 4, c.p.c. Ne consegue che è inammissibile il ricorso prospettante una sequela di censure non aventi ad oggetto uno dei suindicati vizi e non specificamente argomentate con riferimento ai medesimi, bensì volte esclusivamente ad acriticamente contrapporre, senza sviluppare alcuna argomentazione in diritto, soluzioni diverse da quelle desumibili dalla sentenza impugnata. (Nell'affermare il suindicato principio la S.C. ha considerato inammissibile il motivo di ricorso concernente la dedotta violazione dell'art. 1158 c.c., in riferimento all'art. 2967 c.c. nonché l'omessa insufficiente e contraddittoria motivazione, formulato con la mera espressione della doglianza dell'essersi il tribunale limitato a recepire quanto affermato dal pretore, senza tenere «conto dell'elemento psicologico del possesso utile per l'usucapione ordinaria ed erroneamente valutando le deposizioni testimoniali dalle quali il detto elemento sarebbe, invece, risultato provato»).