(massima n. 1)
In tema di equa riparazione per il mancato rispetto del termine ragionevole del processo ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, l'interessato ha l'onere di dedurre e dimostrare il pregiudizio subito, non essendo configurabile un danno in re ipsa, fermo restando che, secondo i principi generali, tale prova può essere data per presunzioni, soprattutto quando si invochi la riparazione del danno non patrimoniale, atteso che preoccupazioni, tensioni e disagi della persona fisica non sono suscettibili di una dimostrazione diretta; ne consegue che — posto che la prova per presunzioni non postula che il fatto ignoto da dimostrare sia l'unico riflesso possibile di un fatto noto, essendo sufficiente la rilevante probabilità del determinarsi dell'uno in dipendenza del verificarsi dell'altro, secondo criteri di regolarità causale (id quod plerumque accidit) — l'attribuzione di equa riparazione, per danno morale consistente nei menzionati turbamenti psichici, è legittima allorché si correli all'accertamento dell'eccessiva durata della causa ed all'individuazione dell'entità del superamento del termine ragionevole, ed inoltre tenga conto dell'oggetto della contesa e delle posizioni delle parti, e così esprima, quantomeno implicitamente, un convincimento di probabilità del prodursi di quel danno, secondo criteri di normalità causale (quantificandolo poi in misura coerente con i dati considerati).