(massima n. 1)
Nell'ipotesi in cui la notificazione dell'impugnazione presso il domiciliatario, ai sensi dell'art. 330 c.p.c., non sia andata a buon fine per il mancato reperimento di quest'ultimo nel luogo indicato nell'elezione di domicilio, la successiva notificazione eseguita, secondo le diverse modalità indicate nello stesso articolo, dopo la scadenza del termine di un anno dal deposito della sentenza deve ritenersi inesistente, posto che i termini per l'impugnazione, qualificati come perentori dell'art. 326 c.p.c., inquadrandosi nell'istituto generale della decadenza, decorrono per il solo fatto del trascorrere del tempo, senza alcuna possibilità di proroga, sospensione o interruzione, se non nei casi eccezionali previsti dalla legge, e non restano sospesi o interrotti, perciò, per la necessità di reperire il nuovo recapito del destinatario della notifica dell'atto di impugnazione, mentre la questione della conoscenza o della conoscibilità del diverso recapito del domiciliatario spiega rilevanza solo in ordine all'individuazione delle modalità con le quali la notificazione deve essere rinnovata, ma non tocca la necessità che tale rinnovazione avvenga entro la scadenza del termine perentorio fissato per l'impugnazione, restando a carico dell'istante il rischio che le nuove modalità notificatorie non consentano di rispettare detto termine. Né alcuna influenza possono esplicare, in tale ipotesi, i principi dettati dalla Corte costituzionale riguardo alla non imputabilità al notificante delle circostanze impeditive verificatesi successivamente alla consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario (v. sentenza cost. n. 477 del 2002), poiché essi attengono ai diversi casi in cui l'inosservanza del termine sia imputabile al ritardo nel compimento di un'attività riferibile a soggetto diverso dal notificante (ufficiale giudiziario, agente postale) e non ad erronee indicazioni contenute nell'atto consegnato dall'istante per la notificazione.