(massima n. 1)
Nel rito del lavoro, il difetto di specifica contestazione dei conteggi elaborati dall'attore per la quantificazione del credito oggetto di domanda di condanna, allorché il convenuto si limiti a negare in radice l'esistenza del credito avversario, (a) può avere rilievo solo quando si riferisca a fatti, non semplicemente alle regole legali o contrattuali di elaborazione dei conteggi medesimi, e sempre che si tratti di fatti non incompatibili con le ragioni della contestazione sull'an debeatur; (b) rileva diversamente, a seconda che risulti riferibile a fatti giuridici costitutivi della fattispecie non conoscibili di ufficio, ovvero a circostanze dalla cui prova si può inferire l'esistenza di codesti fatti, giacché mentre nella prima ipotesi la mancata contestazione rappresenta, in positivo e di per sé, l'adozione di una linea incompatibile con la negazione del fatto e, quindi, rende inutile provarlo, in quanto non controverso, nella seconda ipotesi (cui può assimilarsi anche quella di difetto di contestazione in ordine all'applicazione delle regole tecnico-contabili) il comportamento della parte può essere utilizzato dal giudice come argomento di prova ex art. 116, secondo comma, c.p.c.) si caratterizza, inoltre, per un diverso grado di stabilità a seconda che investa fatti dell'una o dell'altra categoria, perché, se concerne fatti costitutivi del diritto, il limite della contestabilità dei fatti originariamente incontestati si identifica con quello previsto dall'art. 420, primo comma, del codice di rito per la modificazione di domande e conclusioni già formulate, mentre, se riguarda circostanze di rilievo istruttorio, trova più ampia applicazione il principio della provvisorietà, ossia della revocabilità della non contestazione, le sopravvenute contestazioni potendo essere assoggettate ad un sistema di preclusioni solo nella misura in cui procedono da modificazioni dell'oggetto della controversia.