(massima n. 1)
L'arbitrato rituale, come quello irrituale, ha natura privata, configurandosi sempre la devoluzione della controversia ad arbitri come rinuncia all'azione giudiziaria ed alla giurisdizione dello Stato e come opzione per la soluzione della controversia sul piano privatistico, secondo il dictum di soggetti privati; pertanto, la distinzione tra arbitrato rituale e arbitrato irrituale non può imperniarsi sul rilievo che nel primo le parti abbiano demandato alle parti una funzione sostitutiva di quella del giudice; la differenza va, invece, ravvisata nel fatto che, nell'arbitrato rituale, le parti vogliono che si pervenga ad un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all'art. 825 c.p.c., con l'osservanza del regime formale del procedimento arbitrale; nell'arbitrato irrituale esse intendono affidare all'arbitro la soluzione di controversie solo attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibili alla volontà delle parti stesse, le quali si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro volontà.