(massima n. 1)
L'art. 416, terzo comma, c.p.c., nel chiedere al convenuto – nel rito del lavoro – di prendere una precisa posizione sui fatti affermati dall'attore, senza limitarsi ad una generica contestazione, intende scoraggiare la scelta del silenzio da parte del convenuto che, costituendosi, abbia accettato di partecipare al giudizio, e non già imporgli l'onere di dedurre altri fatti che si oppongano a quelli costitutivi della domanda o, comunque, di formalizzare un'articolata e analitica contestazione rispetto ad ogni singola e particolare circostanza dei fatti addotti dalla controparte, con la sanzione, in caso contrario, di vedere questi ultimi qualificati dal giudice come non necessari di prova; deve invece ritenersi non derogato il principio secondo cui determinati fatti possono essere considerati «pacifici» solo quando l'altra parte abbia impostato la propria difesa su argomenti logicamente incompatibili con il loro disconoscimento, oppure si sia limitata a contestare esplicitamente e specificamente alcuni soltanto di quei fatti, evidenziando così il proprio non interesse ad un accertamento degli altri. (Nella specie, il giudice di merito, con la sentenza annullata dalla S.C., aveva ritenuto confermate le deduzioni dell'attore sulla prestazione di lavoro straordinario benché il convenuto avesse contestato, oltre che i presupposti giuridici della relativa domanda, anche quelli fattuali, sia pure in termini globali).