(massima n. 1)
L'errore di fatto previsto dall'art. 395 n. 4 c.p.c. ed idoneo a costituire (a seguito delle pronunce n. 17 del 1986 e 36 del 1991 della Corte costituzionale, nonché dell'entrata in vigore dell'art. 391 bis nel testo di cui alla L. n. 353 del 1990) motivo di revocazione della sentenza emessa nel giudizio di cassazione, deve consistere — al pari dell'errore revocatorio imputabile al giudizio di merito — nell'affermazione o supposizione dell'esistenza o inesistenza di un fatto la cui verità risulti invece in modo indiscutibile esclusa o accertata in base al tenore degli atti e documenti di causa, deve essere decisivo (nel senso che deve sussistere un nesso di causalità necessaria tra l'erronea supposizione e la decisione resa), non deve cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata, e deve, infine, presentare i caratteri della evidenza e della obiettività; è pertanto inammissibile il rimedio della revocazione in relazione ad errori che non rilevino con assoluta immediatezza, ma richiedano, per essere apprezzati, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche, ovvero errori che non siano decisivi in se stessi, ma debbano essere valutati nel più ampio contesto delle risultanze di causa, o, infine, errori che non consistano in un vizio di assunzione del fatto (tale da comportare che il giudice non statuisca su quello realmente controverso), ma si riducano ad errori di criterio nella valutazione del fatto, di modo che la decisione non derivi dall'ignoranza di atti e documenti di causa, ma dall'erronea interpretazione di essi.