(massima n. 1)
Ai sensi dell'art. 384 c.p.c., nel testo novellato dall'art. 66 della legge 26 novembre 1990, n. 353, la cassazione sostitutiva, con giudizio nel merito, è consentita nei soli casi in cui, dopo l'enunciazione del principio di diritto, la controversia debba essere decisa in base ai medesimi apprezzamenti di fatto che costituivano il presupposto del giudizio di diritto errato, in tal guisa postulandosi che il giudice del merito abbia avuto modo di esprimere siffatti apprezzamenti ai fini di una specifica decisione; essa non è pertanto consentita nei casi in cui l'intervento caducatorio della decisione di legittimità apra la via ad una pronuncia su questioni non esaminate nella pregressa fase di merito, atteso che la norma suddetta, nell'escludere la cassazione sostitutiva in presenza della necessità di accertamenti «ulteriori», limita la possibilità di tale provvedimento alla sola ipotesi in cui tutti gli accertamenti siano stati compiuti dal giudice competente e quindi impedisce che in sede di cassazione sostitutiva possano essere rese decisioni su questioni nel merito delle quali il giudice a quo non si sia pronunciato, decisioni che, pertanto, non essendo destinate a sostituire alcuna pronuncia precedente, si configurino a loro volta come ulteriori rispetto a quelle cassate. Né rileva in proposito il fatto che sulla questione si sia pronunciato, o meno, il giudice di primo grado, la cui sentenza sia stata riformata con quella poi cassata, atteso l'effetto sostitutivo della sentenza di secondo grado, la cui pronuncia toglie rilievo, nei limiti del principio tantum devolutum quantum appellatum, alla decisione di primo grado, come reso palese dall'art. 393 c.p.c. il quale, per il caso di estinzione del processo verificatasi dopo la cassazione, dispone che si estingue l'intero giudizio, laddove l'estinzione del giudizio di appello – verificatasi, cioè, prima della realizzazione del suddetto effetto sostitutivo – può determinare il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado (art. 310 c.p.c.).