(massima n. 1)
Nel conferimento della procura alle liti ai sensi dell'art. 83, terzo comma, c.p.c., la certificazione, da parte del difensore, dell'autografia della sottoscrizione del conferente postula che ne sia accertata l'identità ed esige, per ciò, che ne sia indicato il nome. Pertanto, quando né nell'intestazione del ricorso per cassazione proposto da una società o da altro ente collettivo, né nella procura risulti il nome della persona fisica che l'ha conferita (perché non vi è nominativamente indicata e la firma è illeggibile), l'incertezza sulla persona del confidente, preclusiva della successiva indagine sull'esistenza in capo a lui dei necessari poteri rappresentativi, rende invalida la procura ed inammissibile il ricorso, a meno che entro i limiti di cui all'art. 372 c.p.c., sia idoneamente documentato, mediante la produzione della già indicata qualità di “legale rappresentante” ad una ben individuata persona fisica. (Nella specie la S.C. – nel ribadire il principio di cui sopra – ha anche considerato irrilevante la presenza in atti dell'autorizzazione a ricorrere, ancorché se ne potesse desumere il nome del legale rappresentante all'epoca del rilascio della stessa autorizzazione, osservando che nella procura non era affermata la provenienza della sottoscrizione da parte del suddetto legale rappresentante, facendosene invece menzione nella sola intestazione del ricorso, e quindi, fuori del contesto del conferimento della procura stessa, nel cui ambito soltanto il difensore è ex art. 83 c.p.c. eccezionalmente abilitato all'attestazione di autenticità).