(massima n. 1)
Il giudice del merito ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente la domanda sulla base dei fatti dedotti dalla parte, indipendentemente dall'esattezza del nomen iuris attribuitole nell'atto introduttivo e in genere delle prospettazioni giuridiche di parte, mentre — oltre a dover rispettare il limite della necessaria corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (divieto di attribuire un bene della vita diverso da quello richiesto e nemmeno implicitamente compreso nella domanda o di pronunciarsi su eccezioni non proposte e non rilevabili d'ufficio) e il divieto di pronunciare su un'azione diversa da quella espressamente proposta — non può, per quanto attiene alla causa petendi, basare la decisione su fatti costitutivi diversi da quelli dedotti, ponendo a fondamento della domanda un titolo nuovo e difforme da quello indicato. (Nella specie la S.C. ha escluso che fosse incorso nel vizio di extrapetizione o ultrapetizione il giudice di merito che, utilizzando gli elementi prospettati a fondamento della domanda e attribuendo alla parte attrice lo stesso bene della vita invocato, aveva ravvisato la costituzione tra le parti di una società di fatto laddove era stata dedotta l'esistenza — con riferimento ad epoca in cui l'istituto era disciplinato dall'art. 2140 c.c. — di una comunione tacita familiare. Peraltro il giudice di legittimità, oltre a sottolineare le affinità esistenti tra le due figure, ha anche rilevato che la possibilità di una qualificazione del rapporto nell'ambito societario era stata adombrata dalla stessa attrice e costituiva in sostanza una prospettazione in via gradata).