(massima n. 1)
La «presupposizione» ricorre quando una determinata situazione, di fatto o di diritto, posata, presente o futura, di carattere obiettivo - la cui esistenza, cessazione e verificazione sia del tutto indipendente dall'attività o dalla volontà dei contraenti e non costituisca oggetto di una loro specifica obbligazione - possa, pur in mancanza di un espresso riferimento ad essa nelle clausole contrattuali, ritenersi tenuta presente dai contraenti medesimi nella formazione del loro consenso, come presupposto avente valore determinante ai fini dell'esistenza e del permanere del vincolo contrattuale. La presupposizione, così intesa, assume rilevanza, determinando l'invalidità o la risoluzione del contratto, quando la situazione presupposta, passata o presente, in effetti non sia mai esistita e, comunque, non esista al momento della conclusione del contratto, ovvero quella contemplata come futura (ma certa) non si verifichi. L'indagine diretta a stabilire se una determinata situazione di fatto o di diritto, esterna al contratto, sia stata dai contraenti, nella formulazione del consenso, tenuta presente secondo il delineato schema della «presupposizione» si esaurisce sul piano propriamente interpretativo del contratto e costituisce, pertanto, un accertamento di fatto riservato al giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, se immune da vizi logici e giuridici. (Nella specie, in relazione alla conclusione di un contratto di rifornimento di carburante a stazione di servizio da costruire secondo un progetto allegato al contratto stesso, si è ritenuto che la realizzazione della stazione di servizio era il presupposto dell'accordo e che l'impossibilità di dare esecuzione a quel progetto, per la sopravvenuta normativa regionale, comportava la risoluzione del contratto.