(massima n. 1)
Il problema della autenticità delle scritture, che ha decisiva rilevanza in ordine alla efficacia della prova documentale, si identifica con quello della certezza della sottoscrizione. Mentre l'atto pubblico fa piena prova della paternità del documento (art. 2700 c.c.) la scrittura privata, non riconosciuta o legalmente considerata tale, si presenta priva di ogni attendibilità quanto al suo autore (art. 2702 c.c.). La indagine circa la verità del contenuto riguarda, invece, la corrispondenza delle dichiarazioni risultanti dal documento. Ai sensi dell'art. 2700 c.c., l'atto pubblico fa piena prova anche dell'elemento intrinseco, limitatamente alle «dichiarazioni delle parti e agli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti». Al contrario, la scrittura privata, non presumendo la legge l'affermazione della verità, non fornisce alcuna certezza dei fatti in essa rappresentati, e, pur nella ipotesi di riconoscimento tacito o espresso la piena prova resta circoscritta al solo elemento estrinseco della sottoscrizione. Per escludere l'autenticità dell'atto pubblico e della scrittura privata riconosciuta o legalmente considerata tale, l'unico mezzo possibile è costituito dalla querela di falso, mentre, in ogni altro caso, l'impugnativa della sottoscrizione può essere effettuata, in via di eccezione, mediante il semplice disconoscimento della scrittura prodotta in giudizio, ovvero mediante ricorso alla querela di falso, con il conseguente carico per la parte istante del più gravoso onere probatorio. Per converso, la contestazione della verità intrinseca del contenuto impone, quale unico mezzo, il ricorso alla querela di falso, soltanto quando si tratti di atto pubblico e limitatamente alle dichiarazioni e ai fatti costituenti piena prova ai sensi dell'art. 2700 c.c., mentre l'impugnativa del contenuto della scrittura privata, anche riconosciuta, e delle altre circostanze, risultanti dall'atto pubblico senza alcuna particolare rilevanza probatoria, va effettuata nelle normali forme e con i consueti mezzi, attraverso i quali viene di regola dimostrata la difformità tra volontà e dichiarazione.