(massima n. 1)
In materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, nel periodo di tempo interposto tra la lesione e la morte ricorre il danno biologico terminale, cioè il danno biologico "stricto sensu" (ovvero danno al bene "salute"), al quale, nell'unitarietà del "genus" del danno non patrimoniale, può aggiungersi un danno morale peculiare improntato alla fattispecie ("danno morale terminale"), ovvero il danno da percezione, concretizzabile sia nella sofferenza fisica derivante dalle lesioni, sia nella sofferenza psicologica (agonia) derivante dall'avvertita imminenza dell'"exitus", se nel tempo che si dispiega tra la lesione ed il decesso la persona si trovi in una condizione di "lucidità agonica", in quanto in grado di percepire la sua situazione ed in particolare l'imminenza della morte, essendo quindi irrilevante, a fini risarcitori, il lasso di tempo intercorso tra la lesione personale ed il decesso nel caso in cui la persona sia rimasta "manifestamente lucida". (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che aveva escluso il diritto al risarcimento del danno, e, quindi, la conseguente trasmissibilità "iure hereditatis", rappresentato dall'agonia, sia sotto il profilo strettamente biologico che sotto quello psicologico-morale, nonostante la lucidità del soggetto, peraltro medico, manifestata dalla descrizione da parte sua della dinamica del sinistro ai sanitari del pronto soccorso).