(massima n. 1)
In tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalitą tra addebito e recesso, rileva ogni condotta che, per la sua gravitą, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalitą e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento, denotando scarsa inclinazione all'attuazione degli obblighi in conformitą a diligenza, buona fede e correttezza; spetta al giudice di merito valutare la congruitą della sanzione espulsiva, non sulla base di una valutazione astratta dell'addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravitą, rispetto ad un'utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, all'intensitą dell'elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalitą di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all'assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo. (Nella specie, 1a S.C., in applicazione del principio, ha cassato la decisione del giudice di merito, che, affermando la congruitą del licenziamento disciplinare di un funzionario di banca, aveva omesso di valutare come questi non avesse riportato sanzioni nel corso di un rapporto durato oltre quindici anni ed avesse evaso le pratiche di erogazione del credito secondo una prassi lungamente tollerata dall'azienda e censurata soltanto all'emergere delle sofferenze).