(massima n. 1)
L'acquiescenza espressa costituisce atto dispositivo del diritto di impugnazione e quindi, indirettamente, del diritto fatto valere in giudizio, sicché la relativa manifestazione di volontà deve essere inequivoca e provenire dal soggetto che di quel diritto possa disporre, con la conseguenza che la stessa deve essere ricostruita in applicazione delle regole ermeneutiche sugli atti negoziali unilaterali, proprio per la sua sostanziale valenza abdicativa del diritto di proporre impugnazione, risultando, pertanto, la sua declaratoria censurabile in sede di legittimità ai sensi degli artt. 1362 e ss. c.c. (In applicazione del principio, la S.C. ha escluso che – in relazione ad un giudizio conclusosi, in primo grado, con la condanna di un comune al rilascio di immobile urbano dato allo stesso in comodato precario – potesse assumere univoco significato di atto di acquiescenza la nota intercorsa tra due uffici dell’amministrazione municipale, con la quale il primo segnalava, al secondo, di non ritenere sussistenti motivi per proporre appello e/o opposizione al rilascio, sul presupposto della mancata disponibilità di documentazione in ordine all’immobile e, quindi, della necessità di limitare l’onere a carico dell’amministrazione, rappresentando che, diversamente, ogni onere finanziario per la formalizzazione dell’uso sarebbe stato a carico dell’ufficio destinatario della nota, al quale si rimetteva, pertanto, ogni ulteriore e diversa determinazione).