(massima n. 1)
Nel caso in cui un istituto di credito delegato alla riscossione dell'Irpef versi alla tesoreria provinciale dello Stato una somma di importo inferiore a quella incassata, per compensare così un versamento in eccesso rispetto all'importo complessivo delle deleghe effettuato in precedenza, l'istituto medesimo è soggetto alla penale di cui all'art. 4 del D.L. 4 marzo 1976, n. 30, convertito, in L. 2 maggio 1976, n. 160, che colpisce l'azienda che «non versa le imposte al cui pagamento è stata delegata» dal contribuente. Infatti, l'obbligazione di versare le somme incassate per l'Irpef, che nasce a carico della banca nei confronti dell'Amministrazione, pur non essendo di natura tributaria, tuttavia è una obbligazione pubblica in quanto regolata da norme che deviano dal regime comune delle obbligazioni civili, in ragione della tutela dell'interesse della P.A. creditrice alla pronta e sicura esazione delle entrate. Pertanto, nel caso in cui la banca versi alla tesoreria una somma di importo superiore a quello dovuto, si è di fronte ad un credito di natura privatistica alla restituzione di quanto pagato in eccesso, ripetibile secondo la disposizione di cui all'art. 2033 c.c., ma non compensabile con il credito dell'Amministrazione al versamento dell'esatto importo delle imposte successivamente riscosse dall'istituto di credito, per effetto del divieto posto dall'art. 1246 n. 3 c.c., essendo quest'ultimo un credito per sua natura impignorabile, perché proveniente da un rapporto di diritto pubblico. Né tale incompensabilità può giustificare sospetti di incostituzionalità per disparità di trattamento o irragionevolezza delle norme considerate, data la impossibilità di paragonare i due contrapporti crediti, per la loro differente natura.