(massima n. 1)
L'obbligo di motivazione da parte del giudice di appello sussiste soltanto in relazione a quanto dedotto con l'atto di impugnazione o, se si tratta del mancato esercizio di un potere esercitabile di ufficio — come quello relativo alla concessione di benefici ai sensi del quinto comma dell'art. 597 c.p.p. — anche in relazione a quanto dedotto e richiesto in sede di discussione. Peraltro, perché sussista l'obbligo della motivazione, è necessario che la richiesta non sia generica ma in qualche modo giustificata con riferimento a dati di fatto astrattamente idonei all'accoglimento della richiesta stessa. (Nella fattispecie, l'atto di appello non conteneva alcun motivo riguardante l'applicazione della non menzione — indicata soltanto con la generica dizione “applicazione di tutti i benefici di legge” nella parte riassuntiva delle richieste — ed in sede di discussione il difensore si era limitato ad un generico richiamo ai motivi di appello. L'imputato ha proposto ricorso avverso la sentenza di secondo grado osservando che la corte d'appello avrebbe dovuto, anche di ufficio, applicare il beneficio della non menzione della condanna e che avrebbe dovuto adeguatamente motivare il diniego dell'applicazione del detto beneficio di cui era stata fatta richiesta nell'atto di appello con il riferimento a tutti i benefici di legge. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, in applicazione del principio di cui in massima).