(massima n. 1)
Il codice penale, nell'art. 440, punisce il delitto di corrompimento od adulterazione di acque, prima che queste siano attinte o distribuite per il consumo, sicché il delitto si realizza con il fatto del corrompimento o dell'adulterazione: l'uso effettivo delle acque non è necessario e tanto meno occorre che ne sia derivato un danno attuale alla salute delle persone. Pertanto, non è richiesta una qualche forma diretta od indiretta di opera per la destinazione al consumo umano, ma è sufficiente la potenziale attingibilità ed utilizzabilità. (La S.C., nel rigettare il ricorso dell'imputato, ha ritenuto che le acque, quale risorsa naturale nella loro purezza, siano l'oggetto specifico della protezione legale, “ancorché non estratte dal sottosuolo”, come recita l'art. 1 L. 5 gennaio 1994, n. 36; che la protezione del valore alimentare anche futuro delle acque di falda, potenzialmente raggiungibili con le moderne tecnologie per lo sfruttamento ad uso umano, deve essere assicurato in loco da ogni forma arbitraria di corrompimento od adulterazione, non solo dolosa, ma anche e soltanto colposa, come nel caso di specie; che la sentenza impugnata dà atto, con adeguata motivazione, del grave inquinamento della falda e del nesso di causalità con la fuoriuscita del percolato della discarica illegittimamente gestita).