(massima n. 1)
In tema di reintegrazione nel possesso, il requisito della clandestinità dello spoglio sussiste ogni qual volta lo spossessamento avviene mediante atti che non possano venire a conoscenza di colui che è stato privato del possesso o della detenzione, sicché ciò che rileva è che il possessore o il detentore, usando l’ordinaria diligenza ed avuto riguardo alle concrete circostanze in cui lo spossessamento si è verificato, si siano trovati nell’impossibilità di averne conoscenza, secondo un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito che, ove sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi logici o errori di diritto, si sottrae al sindacato di legittimità. (Nella specie, la S.C. ha escluso la clandestinità del possesso esercitato da un parroco, quale appartenente ad un ente ecclesiastico, su di un bene di titolarità della parrocchia, che lo stesso parroco amministrava in rappresentanza della diocesi, rilevando che, in forza delle disposizioni di diritto canonico che gli attribuiscono la vigilanza sui beni ecclesiastici, a fronte di corrispondenza intercorsa con il rappresentante dell'ente, che invocava la proprietà di detto bene, il vescovo avrebbe potuto sostituirsi al parroco ed esercitare l'autorità di controllo di sua spettanza).