(massima n. 1)
In tema di appalto di opere pubbliche, la garanzia per l’esperimento dei rimedi di cui agli artt. 1667 e 1669 c.c., riguardo a vizi e difetti rivelatisi contemporaneamente al suo esperimento, spiega la propria efficacia solo dopo l’approvazione del collaudo secondo le forme sancite, in via imperativa, dal r.d. n. 350 del 1895, applicabile “ratione temporis”, sicché è solo dall’esito del collaudo che prendono corpo e significato sia la tematica dell’accettazione dell’opera, che quella di un’eventuale decadenza del committente dalla possibilità di far valere difformità e vizi, sia, infine, quella della prescrizione dell’azione volta ad invocare la garanzia per questi ultimi. Ciò, del resto, si spiega in ragione del fatto che la ricognizione dello stato delle opere pubbliche da parte della P.A. non è riducibile alla percezione che di esso possa avere un qualsiasi soggetto che rivesta una carica pubblica nell’amministrazione committente, ma solo all’acquisizione formale nell’ambito del procedimento amministrativo previsto dalla legge.