(massima n. 1)
Il risarcimento del danno subito dalla pubblica amministrazione creditrice, in base ad un rapporto contrattuale (nella specie: di appalto di servizi), di una prestazione pecuniaria, per la mancata tempestiva disponibilità della somma dovutale, a causa del ritardo del debitore nel pagamento, richiede, esclusa ogni automatica applicazione, a fini rivalutativi, degli indici di inflazione rilevati dall'Istat, la dimostrazione dell'esatto ammontare del pregiudizio subito. Ai fini della quale, tenuto conto che nel caso di mancata tempestiva realizzazione del credito, l'amministrazione non può liberamente disporre delle proprie risorse secondo criteri di opportunità idonei a permetterle di evitare le conseguenze dell'inflazione monetaria né può indiscriminatamente far ricorso al credito per adempiere ai propri compiti istituzionali, non possono essere utilizzati i criteri, applicabili nei rapporti interprivati, della qualità e delle condizioni della categoria di appartenenza del creditore quali elementi di prova presuntiva del ridetto pregiudizio, né può farsi ricorso al fatto notorio del ricorso allo strumento del debito pubblico, per giustificare l'applicazione del tasso di svalutazione rilevato dall'Istat, pena un ingiustificato privilegio per la p.a. rispetto ai privati creditori. E invece necessaria, allo scopo sopraindicato, la dimostrazione da parte dell'amministrazione delle variazioni dei tassi dei titoli del debito pubblico con riferimento alle singole annualità durante le quali si è protratta la mora del debitore, onde consentire il calcolo dell'incremento anno per anno del credito originario, per la parte non coperta dalla corresponsione dell'interesse di mora nella misura legale.