(massima n. 1)
L'illecito sportivo presuppone la sussistenza del consenso dell'avente diritto. Esso ricorre quando la condotta lesiva, quale quella del diretto controllo del tiro del pallone, del tentativo di impossessarsene o di contenderlo all'avversario ovvero di introdursi nell'azione di gioco, sia finalisticamente inserita nel contesto di un'attività sportiva. In tema di lesioni cagionate nel corso di quest'ultima, allorquando venga posta a repentaglio coscientemente l'incolumità del giocatore — che legittimamente si attende dall'avversario un comportamento agonistico anche rude, ma non esorbitante dal dovere di lealtà fino a trasmodare nel disprezzo per l'altrui integrità fisica — si verifica il superamento del cosiddetto rischio consentito, con il conseguente profilarsi della responsabilità per dolo o per colpa. Il fatto è doloso ove la gara sia solo l'occasione dell'azione volta a cagionare lesioni, è colposo se innestato nello svolgimento dell'attività agonistica e dipendente dalla violazione di norme regolamentari. L'accertamento del rischio consentito è questione di fatto, da risolvere caso per caso, in relazione al tipo di pratica sportiva nonché, nell'ambito di questa, al tipo di attività agonistica. (La S.C. ha escluso il dolo — nel caso di specie — poiché il fatto lesivo ebbe a verificarsi nel corso di un'azione di gioco tesa ad impedire che l'avversario si proiettasse col pallone verso la rete avversaria, ma ha ritenuto la colpa, poiché il difensore commise fallo con un violento calcio, durante un incontro tra dilettanti).