(massima n. 1)
In tema di falsità in atti pubblici, la legge penale tutela il documento non per il suo contenuto, ma per la sua attitudine probatoria, sicché la invalidità del rapporto giuridico rappresentato nel documento non esclude il delitto di falso previsto dall'art. 476 c.p. Tale delitto può venir meno soltanto se si tratti di vizi formali che rendano l'atto giuridicamente irrilevante e non anche quando si tratti di vizi che lo rendono annullabile o nullo; in altri termini, perché il documento sia insuscettibile di protezione penale deve essere privo dei requisiti formali essenziali richiesti dalla legge per il raggiungimento del suo scopo, mentre, d'altro canto, per la configurazione del reato occorre non che l'atto al momento della falsificazione possa ritenersi valido per istituire o provare un rapporto, bensì che mercé la falsificazione risulti valido a provare la sussistenza sia pure apparente, nei confronti dei terzi, della situazione documentata. (Fattispecie in cui gli imputati avevano formato e redatto falsamente dei verbali di deliberazione di un consiglio comunale, facendo risultare come emanate dal consiglio delibere in realtà dallo stesso mai adottate ed apponendo date in cui non vi erano state riunioni del consiglio; la Cassazione, nel ritenere sussistente il reato di cui all'art. 476 c.p. sulla scorta dei principi di cui in massima, ha altresì evidenziato che l'inesistenza, nella specie, dell'attività dell'organo collegiale non escludeva la punibilità ai fini delle norme incriminatrici del falso documentale, essendo, appunto, irrilevante l'invalidità del rapporto giuridico rappresentato nel documento).