(massima n. 1)
In relazione alla norma di cui all'art. 1189 c.c., che riconosce effetto liberatorio al pagamento fatto dal debitore in buona fede a chi appare legittimato a riceverlo, il principio dell'apparenza del diritto, che mira alla tutela della buona fede dei terzi, trova applicazione quando concorrono le due condizioni costituite dallo stato di fatto non corrispondente alla situazione di diritto e dal convincimento del terzo, derivante da errore scusabile, che lo stato di fatto rispecchi la realtà giuridica. Pertanto, per l'applicazione di siffatto principio, occorre procedere all'indagine, da compiersi caso per caso, non solo sulla buona fede del terzo, ma anche sulla ragionevolezza dell'affidamento, il quale, perciò, non può essere invocato da chi versi in una situazione di colpa (riconducibile alla negligenza) per aver trascurato l'obbligo, derivante dalla stessa legge oltre che dall'osservanza delle norme di comune prudenza, di accertarsi della realtà delle cose, facilmente controllabile, e per essersi affidato alla mera apparenza. La suddetta indagine coinvolge, perciò, una mera quaestio facti le cui conclusioni non sono censurabili nel giudizio di legittimità ove si fondino su argomentazioni logiche e prive di contraddizioni. (Nella specie, la S.C., rigettando il ricorso proposto, ha ritenuto che la sentenza di merito impugnata — perciò confermata — fosse conforme al principio di diritto enunciato e logicamente motivata, essendo stato con la stessa affermato che, in relazione al caso dedotto in giudizio, poiché da circa un anno e mezzo era stata data idonea pubblicità sia alla misura cautelare del sequestro dell'azienda che alla nomina del custode, la ditta debitrice non aveva agito con la normale diligenza ed era da ritenere in colpa per avere effettuato l'adempimento della prestazione a soggetto non legittimato a riceverla, sicché doveva essere esclusa l'ipotesi del pagamento liberatorio a favore di rappresentante apparente della ditta creditrice).