(massima n. 1)
Il diritto di difesa — anche in relazione al profilo specifico concernente il suo esercizio da parte del patrocinante — è tra quelli al quale l'ordinamento giuridico riconosce il più alto ambito di espansione onde consentire la effettiva attuazione del principio affermato nell'art. 24, secondo comma, Cost.: come ogni diritto, però, esso trova un limite nel rispetto delle altre esigenze primarie, tra le quali v'è quella dello Stato ad una corretta amministrazione della giustizia, sicché nella scelta dei metodi e degli strumenti cui il difensore ritiene di fare ricorso per la tutela degli interessi dell'imputato, esiste un limite oggettivo — costituito dall'inosservanza di quegli obblighi e di quei divieti espressamente indicati come illeciti penali — oltre il quale anche il comportamento del professionista non sfugge alla sanzione, eccettuati i casi espressamente previsti dalla legge. Pertanto, risponde di favoreggiamento personale il difensore che, attivandosi per mettere in contatto tra loro persone titolari di interessi contrapposti all'imputato, si adoperi in tempi successivi per alterare i risultati delle indagini già svolte, esercitando in tal senso una seria azione di pressione psicologica sulla persona offesa. (La corte ha ritenuto che costituisse favoreggiamento personale il comportamento di un avvocato — pretore onorario nella stessa sede — che dopo un infortunio sul lavoro seguito da decesso, si era adoperato per mettere in contatto, nel proprio studio, il denunciante e la vedova del deceduto al fine di indurre il primo ad alleggerire le dichiarazioni già rese, e a non assumere altre iniziative, esercitando anche pressioni psicologiche in relazione sia alla posizione che avrebbero tenuto i sindacati, sia quanto alla personale possibilità di intervenire concretamente sull'ulteriore sviluppo delle indagini).