(massima n. 1)
L'incompatibilità tra favoreggiamento personale e reato presupposto va riconosciuta nei soli casi in cui l'un reato sia estrinsecazione dell'altro concorrendo la medesima condotta a integrare sia un'attività di partecipazione al reato presupposto, sia un'attività favoreggiatrice, mentre tale incompatibilità non sussiste, ed è perciò configurabile concorso tra favoreggiamento e reato presupposto, quando l'attività favoreggiatrice sia diversa, sul piano funzionale, temporale e ontologico, da quella integratrice del reato presupposto. (Nella specie, al ricorrente era stato contestato, in un primo momento, il delitto di cui all'art. 23 della L. 18 aprile 1975, n. 110, per essere stato trovato in possesso di arma con matricola abrasa; successivamente gli era stato contestato anche il delitto di cui all'art. 378 c.p., per avere egli dichiarato di non conoscere coloro o colui che gli avevano ceduto l'arma. Dedotta dal ricorrente la legittimità della dichiarazione reticente, sotto il profilo che egli non aveva posto in essere alcuna attività favoreggiatrice, ma al più attività di intralcio alle investigazioni sul suo conto, rientranti nell'esercizio del diritto di difesa, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso sul rilievo che nella specie reato presupposto non era l'illecita detenzione dell'arma, bensì un omicidio volontario, all'identificazione del cui autore era finalizzata l'indicazione del soggetto cedente l'arma).