(massima n. 1)
Il motivo è futile quando la spinta al reato manca di quel minimo di consistenza che la coscienza collettiva esige per operare un collegamento accettabile sul piano logico con l'azione commessa. La futilità, così intesa, appartiene, dunque, alla sfera morale, in quanto offensiva di una regola etica propria del comune sentire, che assegna un particolare disvalore ad una azione criminosa psicologicamente indotta da una causale irrisoria, sicché la macroscopica inadeguatezza del movente contrasta con elementari esigenze di giustizia avvertite dalla collettività civile. Tuttavia, il relativo giudizio non può essere astrattamente riferito ad un comportamento medio difficilmente definibile, ma va ancorato agli elementi concreti della fattispecie, tenendo conto delle connotazioni culturali del soggetto giudicato, nonché del contesto sociale in cui si è verificato l'evento e dei fattori ambientali che possono aver condizionato la condotta criminosa. (Fattispecie relativa ad un omicidio scaturito dal mancato pagamento della retribuzione all'imputato, custode di un condominio, da parte della vittima, amministratore del condominio stesso. La S.C. ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito di escludere l'aggravante dei motivi futili, in quanto congruamente motivata sul fatto che il movente non era riconducibile al contenuto economico del contrasto tra aggressore e vittima — in sè modesto ma non irrisorio — bensì alla condizione psicologica di disagio e frustrazione vissuta dall'imputato, il quale era stato costretto a ricorrere all'aiuto economico del figlio, non potendo contare sull'unica fonte di sussistenza, costituita dal reddito lavorativo).