(massima n. 1)
Il reato previsto dall’art. 319 quater c.p., introdotto dalla legge 6 novembre 2012 n. 190 (induzione indebita, da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, a dare o promettere utilità), richiede, al pari di quello previsto dall’art. 317 c.p. (concussione), tanto nella formulazione introdotta dalla stessa legge n. 190/2012 quanto in quella preesistente, che il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio abbia agito con abuso della sua qualità o dei suoi poteri e quindi profittando, quali che siano le specifiche modalità della condotta, dello stato di difficoltà e di soggezione in cui si trova il privato; condizione, questa, in difetto della quale, può ravvisarsi soltanto il reato di istigazione alla corruzione previsto dall’art. 322, commi terzo e quarto, c. p., qualora vi sia stata una sollecitazione non accolta, ovvero quello di corruzione, qualora la sollecitazione sia stata invece accolta. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte, in un caso in cui l’imputato, all’esito del giudizio di merito, era stato dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 317 c.p., nella formulazione all’epoca vigente, perché, con abuso della sua qualità di funzionario dell’azienda municipalizzata di distribuzione dell’acqua potabile, aveva indotto un utente a versargli una somma di danaro in cambio della riduzione dell’importo di una bolletta che allo stesso utente era apparsa esosa e tale da metterlo in difficoltà, ha ritenuto che fosse, nella fattispecie, applicabile, la nuova figura di reato prevista dall’art. 319 quater c.p., sussistendo, sulla base della suindicata interpretazione, anche il requisito della c.d. “continuità normativa”).