(massima n. 4)
In tema di distinzione fra concussione e corruzione, premesso che la prima di dette figure di reato è caratterizzata dal metus publicae potestatis, per cui, di regola, il concusso certat de damno vitando mentre, nella corruzione, il corruttore certat de lucro captando, deve ritenersi che sussista il reato di concussione ogni qual volta vi sia, da parte del soggetto investito di qualifica pubblicistica, la prospettazione di un danno ingiusto, evitabile soltanto con l'indebita dazione o promessa di danaro o altra utilità da parte del privato, nulla rilevando che anche quest'ultimo possa, a sua volta, sperare di trarre da ciò un vantaggio, sempre che, tuttavia, si tratti di un vantaggio costituito da utilità alle quali il privato avrebbe potuto legittimamente aspirare anche prima dell'intervento del soggetto pubblico, ed al quale sarebbe altrimenti costretto a rinunciare, costituendo proprio tale forzata rinuncia l'oggetto della prospettazione di danno ingiusto da parte del concussore. Per converso, se il lucrum captandum da parte del privato non sia soltanto l'effetto naturale della mancata realizzazione del danno ingiusto, ma costituisca la finalità esclusiva o prevalente del favore offerto dal soggetto pubblico o a lui richiesto, ponendosi l'accordo fra le parti in termini di sinallagmaticità e, quindi, di libera contrattazione, con esclusione di ogni soggezione del privato nei confronti del soggetto pubblico, il reato configurabile risulta quello di corruzione.