(massima n. 1)
Rientra nella fattispecie della corruzione per un atto di ufficio (art. 318 c.p.) il comportamento dell'incaricato di pubblico servizio che, svolgendo compiti preparatori nella procedura di definizione dei rapporti tra privati proponenti e l'ente di appartenenza, percepisca elevate somme di denaro per «agevolare e velocizzare» la conclusione di contratti di compravendita di immobili. In siffatta ipotesi le dazioni di denaro non sono correlate ad atti contrari ai doveri di ufficio, non essendo ravvisabile alcuna violazione delle regole «interne» poste a presidio dello svolgimento del servizio pubblico; al contrario, è riscontrabile la violazione del principio di imparzialità che, connotandosi, soprattutto, come «dovere esterno», è posto a garanzia da favoritismi o da deviazioni per tornaconto personale da parte dell'agente: di detto principio di imparzialità l'accettazione della indebita «retribuzione» costituisce senz'altro un vulnus, ancorché quest'ultima sia riferita a un atto legittimo. (Nella specie si trattava di dipendenti del Fondo pensioni della Cariplo. La Corte, pur affermando il suesposto principio, ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata, non rivestendo gli agenti la qualità di pubblici impiegati).