(massima n. 1)
L'art. 1 del D.P.R. 22 dicembre 1990, n. 394, non consente di estendere l'indulto alla pena dell'ergastolo. La specifica connotazione di quest'ultimo, ossia la perpetuità, è infatti ontologicamente incompatibile con tutte quelle cause estintive della pena che presuppongono, ai fini della loro applicazione, una durata definita nel tempo. Né può pervernirsi a diversa conclusione solo perché l'ergastolo, al pari delle altre pene detentive permette il ricorso agli istituti della liberazione condizionale (art. 176, terzo comma, c.p.) e della liberazione anticipata (art. 54 ord. penit.). Ciò perché in relazione a tali benefici, estesi all'ergastolo in seguito ad appropriati interventi normativi successivi ad alcune pronunce della Corte costituzionale, non si è derogato al principio dell'inscindibilità dell'ergastolo, né si è eliminato il carattere perpetuo di esso, ma si è solo affermato che, dopo un certo periodo di detenzione, anche il condannato all'ergastolo può fruire di quei benefici se ha dato prova, con la sua condotta, di ravvedimento, ovvero ha dimostrato attivo interesse all'opera di rieducazione.