(massima n. 1)
In tema di misure alternative alla detenzione, la previsione di cui all'art. 47-ter, comma primo bis, L. n. 354 del 1975, come sostituita dall'art. 7, comma quarto, L. n. 251 del 2005 — che preclude la detenzione domiciliare ai condannati cui sia stata applicata la recidiva prevista dall'art. 99, comma quarto, c.p. — si riferisce con l'espressione «applicata» tanto al riconoscimento della recidiva con la sentenza di condanna quanto al fatto che, in virtù del suo riconoscimento, sia conseguito, ai sensi dell'art. 69 c.p., uno degli effetti che le sono propri e cioè quello di paralizzare un'attenuante, impedendo a quest'ultima lo svolgimento della funzione di concreto alleviamento della pena irroganda per il reato. Ne deriva che la preclusione di cui al novellato art. 47-ter, comma primo bis, succitato, non è operativa qualora la recidiva non sia applicata, e cioè allorquando, ancorché riconosciuta la ricorrenza degli estremi di fatto e di diritto, essa non manifesti concretamente alcuno degli effetti che le sono propri, in ragione della prevalenza attribuita alla attenuante, la quale non si limiti a paralizzarla ma ne determini il superamento in modo che sul piano della afflittività sanzionatoria la recidiva risulti «tamquam non esset» (In applicazione di questo principio la S.C. ha censurato l'ordinanza del Tribunale di sorveglianza di inammissibilità dell'istanza di detenzione domiciliare — fondata sulla preclusione dovuta alla contestazione nel titolo in esecuzione della recidiva di cui all'art. 99, comma quarto, c.p. —, rilevando l'applicazione delle attenuanti generiche e la riduzione della pena per effetto della prevalenza delle stesse sulla recidiva contestata e riconosciuta).